venerdì 6 giugno 2014

La Nuova Ombra Parte Prima

Ho continuato il racconto di Tolkien e questa e la prima parte. Ci sono vari errori grammaticali ma vi chiedo cortesemente di chiudere un occhio perchè l'ho scritto di fretta




LA NUOVA OMBRA
ANTEFATTO
Questo racconto inizia nei giorni di Eldarion, figlio di quell’Elessar di cui le cronache hanno molto da raccontare. Centocinque anni erano trascorsi dalla caduta della Torre Oscura, e quella storia era ormai stata dimenticata da molti a Gondor, benché ancora vivessero alcuni che ricordavano la Guerra dell’Anello come un’ombra sulla loro infanzia.
Uno di questi era il vecchio Borlas di Pen- arduin. Egli era il figlio minore di Beregond, il primo Capitano della Guardia del Principe Faramir, che si era mosso insieme al suo signore dalla Città agli Emyn Arnen.
Profonde invero si estendono le radici del Male,” disse Borlas, “e in esse è forte la linfa nera. È un albero che non sarà mai distrutto. Gli uomini possono abbatterlo quanto vogliono, questi germoglierà prima ancora che possano voltarsi. Nemmeno per la Festa dell’Abbattitura le scuri sarebbero appese al muro!”
Chiaramente pensi di pronunciare parole sagge,” disse Saelon. “Lo desumo dalla profondità della tua voce, e dalla tua testa bassa. Ma di cosa stai parlando? Mi sembra che la tua vita sia abbastanza tranquilla, la vita di un vecchio uomo che ormai non viaggia molto. Dove hai visto crescere i germogli dell’albero oscuro? Nel tuo giardino?”
Borlas alzò il capo, lanciò uno sguardo penetrante su Saelon, e si chiese se quel giovane, apparentemente allegro e scherzoso, non ne sapesse più di quanto mostrasse. Borlas non voleva confidarsi con lui, ma era preoccupato, e perciò aveva parlato ad alta voce, più a se stesso che all’altro. Saelon non ricambiò il suo sguardo, ma continuò a intagliare uno zufolo da un verde salice con un coltello affilato, parlando a bassa voce.
I due stavano in un pergolato vicino alla ripida costa orientale dell’Anduin, ai piedi dei colli di Arnen. Erano nel giardino della piccola casa di pietra grigia di Borlas, nascosta tra gli alberi del pendio occidentale. Borlas guardò il fiume, gli alberi vestiti di giugno e, più oltre, le torri della Città illuminate dal rosso del tramonto. “No, non nel mio giardino,” disse pensieroso.
Allora perché ti preoccupi tanto? chiese Saelon. “Un uomo che possiede un giardino tranquillo, circondato da forti mura, ha tutto ciò che può desiderare.” Si interruppe. “Finché è ancora in vita,” aggiunse.
Negli ultimi anni della sua vita, perché preoccuparsi dei mali minori?
Alla fine dovrà lasciare il suo giardino, e saranno gli altri a doversi occupare delle erbacce.”
Borlas sospirò, ma non rispose. Saelon continuò: “Ma ci sono alcuni che non sono mai contenti, e alla fine dei loro giorni si preoccupano dei loro vicini, della Città, del Regno e del mondo intero. Tu sei uno di questi, Mastro Borlas, lo sei sempre stato, dal giorno in cui da fanciullo mi afferrasti nel tuo frutteto. Anche allora non lasciasti che il male facesse il suo corso, prendendomi a bastonate o rafforzando il tuo recinto. No, tu eri addolorato, volevi cambiarmi. Mi portasti a casa tua e mi parlasti.
Lo ricordo bene. ‘Cose da Orchi!, ’ ripetevi. ‘Posso capire che un ragazzo possa rubare frutta buona, se è affamato o se suo padre è troppo permissivo. Ma cogliere mele acerbe, per il gusto di romperle e gettarle via! Queste sono cose da Orchi. Come sei giunto a fare una cosa simile, ragazzo? ’
Cose da Orchi! Ero così arrabbiato, Mastro Borlas, ma ero troppo orgoglioso per risponderti, benché avrei voluto dirti: ‘Cogliere una mela per giocarci è altrettanto sbagliato che coglierla per mangiarla, e non lo è di più. Non parlarmi di cose da Orchi, o te le faccio vedere io! ’
Fu uno sbaglio da parte tua, Mastro Borlas. Fino ad allora avevo già ascoltato racconti sugli Orchi e sulle loro attività, ma non mi avevano mai interessato. Tu risvegliasti il mio interesse nei loro confronti.
Commisi solo piccoli furti (mio padre non era affatto permissivo), ma da allora non dimenticai gli Orchi. Iniziai a nutrire odio nei tuoi confronti e a meditare vendetta. Con gli amici giocavo agli Orchi, e a volte pensavo: ‘Perché non radunare la mia banda e andare ad abbattere i suoi alberi? Così penserà che gli Orchi sono davvero ritornati. ’ Ma è stato tanto tempo fa,” disse Saelon con un sorriso.
Borlas era sorpreso. Ora era Saelon che si confidava con lui. E c’era qualcosa d’inquietante nel tono del giovane, al punto che si chiese se in fondo il risentimento che aveva provato da bambino non fosse ancora vivo, come le radici degli alberi oscuri. Sì, perfino nel cuore di Saelon, l’amico di suo figlio, il giovane che con la sua socievolezza gli aveva reso meno penosa la solitudine. Ad ogni modo, decise di non rivelargli altro dei suoi pensieri.
Ahimè!” disse, “tutti noi commettiamo errori. Non pretendo di essere saggio, ragazzo, ad eccezione di quel poco che si può diventarlo col passare degli anni. Ma conosco fin troppo bene la triste verità secondo cui coloro che vogliono far del bene possono arrecare più danni di quelli che lasciano le cose al loro corso. Mi dispiace per ciò che dissi, se ciò ha nutrito il tuo odio. Ma credo ancora che avessi ragione; forse fui intempestivo, ma ero nel giusto. Anche un ragazzo deve capire che la frutta è frutta, e non va raccolta prima che sia matura; abusarne quando è acerba è peggio che rubarla a chi l’ha coltivata, perché così si deruba il mondo intero, impedendo il compimento di una cosa buona. Chi si comporta in questo modo partecipa alla rovina e alla cancrena delle forze del male. Agisce come gli Orchi.”
E come gli Uomini,” lo interruppe Saelon. “No, non mi riferisco solo agli uomini selvaggi, o a quelli cresciuti ‘sotto l’Ombra’, come si dice. Intendo tutti gli Uomini. Oggi non mi interessa raccogliere la tua frutta acerba, ma solo perché non saprei che farmene, non per le tue nobili ragioni, Mastro Borlas. Penso invece che il tuo ragionamento sia guasto come una mela lasciata per troppo tempo in magazzino. Dal punto di vista degli alberi tutti gli Uomini sono Orchi. Forse gli Uomini ci pensano su prima di abbattere un albero, di usarlo per i loro fini, per farsi strada, per usarlo come legna o carburante, o semplicemente per aprirsi una veduta? Se gli alberi potessero giudicare, considererebbero gli Uomini migliori degli Orchi, o piuttosto li vedrebbero fonte di rovina, come una cancrena? Con quale diritto, si chiederebbero, gli Uomini si nutrono della nostra linfa come parassiti?”
Un uomo,” rispose Borlas, “che cura un albero e lo difende dai parassiti e da altri nemici, non agisce come un Orco o una cancrena. Se mangia i suoi frutti, non gli fa torto. Esso produce più frutta di quanto necessiti per il suo fine, la continuazione della specie.”
Fa che mangi la frutta, allora, o ci giochi,” disse Saelon. “Tuttavia io mi riferivo a quando gli uomini giusti uccidono gli alberi, li tagliano o li bruciano, e alle ragioni per cui lo fanno”.
Non hai detto questo. Tu hai parlato del giudizio degli alberi in materia. Ma gli alberi non giudicano. I figli dell’Uno sono i signori. Già conosci ciò che penso. In origine i mali del mondo non appartenevano al grande Tema, ma vennero introdotti dalle dissonanze di Melkor. Gli uomini non trassero origine da queste dissonanze, ma furono creati in seguito da Eru, l’Uno, e perciò sono chiamati i Suoi figli, e hanno diritto di usare per il loro bene tutto ciò che fu nel tema, non in modo superbo o licenzioso, ma con riverenza.
Se d’inverno il figlio di un boscaiolo ha freddo, anche all’albero più fiero non viene fatto torto se la sua vita è necessaria a riscaldare il bambino col fuoco. Ma il bambino non deve deturpare l’albero, per gioco o per dispetto, strappando la sua corteccia o i suoi rami. E un buon contadino, se può, userà prima la legna che già possiede o quella di un vecchio albero, e non taglierà un albero giovane né lascerà che marcisca, per il solo piacere di usare la scure. Così agiscono gli Orchi.
È anche vero quanto ho detto prima: le radici del Male si estendono in profondità, e il veleno che agisce in noi viene da lontano, sicché a volte molti si comportano in questo modo, e diventano simili ai servi di Melkor. Ma gli Orchi agivano sempre così, godevano a danneggiare e a far soffrire ogni cosa, e si fermavano solo quando veniva loro impedito, non per prudenza o pietà. Ma di ciò abbiamo parlato abbastanza.”
Perché?” disse Saelon. “Abbiamo appena cominciato. Quando parlavi della rinascita dell’albero oscuro non era al tuo frutteto, né alle mele, né a me che stavi pensando. Tuttavia, posso indovinare cosa stavi meditando. Ho occhi e orecchie aperti, Mastro Borlas.” La sua voce divenne un sussurro, appena udibile sul mormorio del vento freddo tra le foglie, mentre il sole si abbassava sul Mindolluin. “Dunque anche tu hai udito il nome”, disse con un filo di voce, “di Herumor?”
Borlas lo guardò con stupore e paura. La sua bocca tremava, cercava di parlare, ma non ci riusciva.
Vedo che lo conosci,” disse Saelon. “E mi sembri stupito di apprendere che l’ho udito anch’io. Ma sono più stupito io, nel vedere che il nome è arrivato fino a te. Come ti ho detto, io ho occhi e orecchie aperti, ma i tuoi sono stanchi anche nelle faccende quotidiane, ed è strano che un affare tanto segreto sia giunto a tua conoscenza.”
Tenuto segreto da chi?” gridò Borlas, con violenza. I suoi occhi potevano anche essere stanchi, ma adesso fiammeggiavano con rabbia.
Suvvia, da coloro che hanno udito la sua chiamata, e chi altri?, rispose Saelon impassibile. “Non sono così numerosi da contrastare il popolo di Gondor, ma il loro numero va crescendo. Non tutti sono sod-disfatti da quando il Grande Re è morto, e sono sempre meno coloro che ne sono dispiaciuti.”
Così avevo ragione,” disse Borlas, “è questo pensiero che angoscia il mio cuore, come un vento freddo d’estate. Un uomo può vivere in un giardino circondato da alte mura, Saelon, e tuttavia non trovarvi pace né serenità. Ci sono nemici che queste mura non possono tenere fuori, poiché il suo giardino è parte di un regno che lo custodisce. È alle mura del regno che deve rivolgersi, se vuole essere realmente sicuro. Ma che cos’è la chiamata? Cosa hanno intenzione di fare?” gridò, allungando la mano verso le ginocchia del giovane.
Prima di risponderti ti porrò una domanda a mia volta,” disse Sae-
lon, che adesso cercava lo sguardo del vecchio. “In che modo tu, che
vivi nell’Emyn Arnen e di rado ti rechi persino nella Città, sei venuto a
conoscenza delle voci sul nome?”
Borlas abbassò lo sguardo e unì le mani sotto le ginocchia. Per un attimo non rispose. Poi guardò nuovamente Saelon, con il volto indurito e un’espressione più prudente. “Non risponderò alla tua domanda, Saelon,” disse. “Non fintanto che avrai risposto a un’altra domanda. Prima dimmi,” disse lentamente, “tu sei tra quelli che hanno udito la chiamata?”
Uno strano sorriso apparve sul volto del giovane. “L’attacco è la migliore difesa,” rispose, “come ci dicono i Capitani, ma quando entrambi i fronti ricorrono a questa strategia, vuol dire che c’è fragore di battaglia. Cercherò di essere al tuo pari. Non risponderò alla tua domanda, Mastro Borlas, finché tu non mi avrai risposto: sei tra quelli che hanno udito la chiamata, o no?”
Come puoi pensarlo?” gridò Borlas.
E tu come puoi pensarlo? chiese Saelon.
Quanto a me,” disse Borlas, “tutte le mie parole non ti hanno già risposto?”
E tu invece,” aggiunse Saelon, “nutri dubbi su di me solo perché ho difeso un ragazzino che tirava per gioco le mele ai suoi compagni dall’accusa di essere un Orco? O perché ho parlato delle sofferenze degli alberi provocate dagli uomini? Mastro Borlas, è poco saggio giudicare il cuore di un uomo sulla base delle parole pronunciate su un argomento che non condivide, solo perché queste parole lo disturbano.
Forse sono impertinenti, ma sono sempre meglio di un’eco ossequiosa.
Non dubito che coloro con cui parli usano parole solenni quanto le tue, e in tua presenza parlano con riverenza del Grande Tema e di cose simili. Dunque, chi risponde per primo?”
Il più giovane, che dovrebbe usare cortesia verso il vecchio,” disse Borlas, “o colui a cui la domanda è stata posta per primo. In entrambi i casi sei tu a dover rispondere.”
Saelon sorrise. “Molto bene,” disse. “vediamo: la prima domanda che mi hai rivolto è stata: che cos’è la chiamata, cosa hanno intenzione di fare? Con la tua età e tutta la tua esperienza non riesci proprio a trovare una risposta? Io sono giovane e ho meno esperienza di te, tuttavia, se lo desideri veramente, forse posso chiarirti il significato delle voci.”
Si alzò in piedi. Il sole era tramontato oltre i monti, e si faceva buio.
Le mura occidentali della casa di Borlas, sul lato della collina, erano indorate dal crepuscolo, ma sul fondo il fiume era scuro. Guardò in alto, poi voltò lo sguardo verso l’Anduin. “È una bella serata,” disse, “ma il vento si muove a est. Stanotte la luna sarà coperta da nubi.”
Bene, e con ciò?” disse Borlas, rabbrividendo un po’ per l’aria fredda. “Forse vuoi dire che un vecchio dovrebbe affrettarsi a rincasare per mantenere le sue ossa all’asciutto?” Si alzò e si diresse verso il sentiero che conduceva alla sua casa, pensando che il giovane non avesse più nulla da dirgli, ma Saelon si pose davanti a lui, trattenendolo per un braccio.
Voglio dire invece che dovrai indossare abiti pesanti dopo il crepuscolo,” disse. “Se vuoi saperne di più, se lo vuoi davvero, dovrai metterti in viaggio con me, stanotte. Ti aspetterò all’entrata orientale della tua casa, sul retro, o almeno passerò da quel lato quando sarà notte fonda, sarai tu a decidere se venire o meno. Indosserò un abito nero, e chiunque verrà con me dovrà essere vestito così. Ora addio, Mastro Borlas!
Pensaci, finché dura la luce del giorno.”
Con ciò Saelon s’inchinò e si allontanò, per un altro sentiero che costeggiava la ripida sponda del fiume, andando a nord, verso la casa di suo padre. Quando scomparve al di là di una curva, le sue parole ancora echeggiavano nella mente di Borlas.
Dopo che Saelon si fu allontanato, per qualche attimo Borlas rimase in silenzio, con le mani sul volto, appoggiando la fronte sulla fredda corteccia di un albero lungo il sentiero. Cercava di richiamare alla mente come era iniziata quella strana e allarmante discussione. Non sapeva ancora cosa avrebbe fatto dopo il crepuscolo.
Dall’inizio della primavera non si sentiva bene, benché fosse piuttosto in forma per la sua età, che gli pesava meno della sua solitudine. Da quando ad aprile suo figlio Berelach era partito di nuovo - lavorava sulle Navi, e ora viveva nei pressi di Pelargir - Saelon era divenuto più premuroso, quando era a casa. Di recente, era spesso in viaggio. Borlas non era al corrente dei suoi affari, sapeva solo che si occupava, tra l’altro, di legname. Portava notizie del regno al vecchio amico, o meglio, al padre del vecchio amico, poiché un tempo Berelach era stato il suo compagno più fedele, sebbene ora si incontrassero di rado.
Certo, è andata così”, si disse Borlas. “Ho parlato a Saelon di Pelargir, riferendomi a Berelach. C’è stato qualche piccolo incidente all’Ethir: alcuni marinai sono scomparsi, e anche un piccolo vascello della Flotta. Niente di più, secondo Berelach.
“ ‘La pace indebolisce gli animi, ’ mi sembra che disse, in veste di sottufficiale. ‘Hanno usato qualche stratagemma per disertare, così sembra - forse delle conoscenze in uno dei porti occidentali - ma senza una guida sono annegati. Gli sta bene. In questi tempi ci sono sempre meno veri marinai, la pesca è più redditizia. Ma almeno tutti sapranno che le coste occidentali non sono sicure per chi non ha esperienza. ’ ”
Fu tutto qui. Ma ne ho parlato a Saelon, e gli ho chiesto se a sud avesse udito qualcosa su quest’episodio. ‘Sì, ’ mi ha risposto, ‘pochi hanno creduto alla versione ufficiale. Quegli uomini non erano inesperti, erano figli di pescatori. E in quel periodo non vi erano state particolari tempeste lungo la costa. ’ ”
Nell’udire ciò, Borlas improvvisamente rammentò altre voci, che gli erano state riferite da Othrondir. Era lui che aveva usato per primo la parola “cancrena”. Questo pensava Borlas quando aveva cominciato a parlare tra sé, ad alta voce, dell’Albero Oscuro.
Borlas scoprì gli occhi e accarezzò il tronco armonioso dell’albero al quale si era appoggiato, guardando il cielo sempre più scuro attraverso le sue foglie ombrose. Una stella brillava al di là dei rami. Continuò a parlare, sottovoce, come se si rivolgesse all’albero.
Dunque, come mi devo comportare adesso? È chiaro che Saelon è coinvolto in questa storia. O non lo è? C’era lo scherno nelle sue parole, e il disprezzo per le regole di vita degli Uomini. Non ha voluto dirmi neanche il motivo degli abiti neri! Tuttavia, perché invitarmi ad andare con lui? Non certo per convertire il vecchio Borlas! Inutile. Inutile provarci: nessuno spererebbe di averla vinta su un vecchio che ancora ricorda il Male, per quanto distante. Inutile anche se si riuscisse a convincerlo: il vecchio Borlas non serve a nulla. Saelon potrebbe aver voluto giocare alla spia, cercando di scoprire qualcosa in più sulle voci che circolano. L’abito nero potrebbe essere un travestimento o servire a muoversi furtivamente nella notte. Ma, tuttavia, di che aiuto potrei essere io in un incarico segreto e pericoloso? Sarei più utile fuori dai piedi.”
Un gelido pensiero attraversò il cuore di Borlas. Fuori dai piedi - era dunque ciò che volevano? Lo avrebbero condotto in qualche luogo dove sarebbe scomparso, come i Marinai? L’invito di Saelon era giunto nel momento in cui gli aveva rivelato di essere a conoscenza delle voci, e persino di aver udito il nome. E gli aveva dichiarato apertamente la sua ostilità.
Questo pensiero spinse Borlas a decidersi: al calar della notte avrebbe atteso Saelon al cancello, vestito di nero. Era stato sfidato, e non voleva tirarsi indietro. Appoggiò con forza il palmo della mano sull’albero. “Non sono ancora un vecchio rimbambito, Neldor,” disse, “ma la morte non è tanto distante per sprecare molti anni preziosi, perdendo le occasioni concesse.”
Raddrizzò la schiena e alzò la testa, incamminandosi lungo il sentiero, lentamente, ma con passo deciso. Quando varcò la soglia di casa, un pensiero gli balenò nella mente: “Forse ho vissuto così a lungo per questo scopo: che ci fosse ancora qualcuno che ricordasse lucidamente ciò che è accaduto prima della Grande Pace. Il naso ha una lunga memoria, penso di potermi ricordare ancora l’odore dell’antico Male, e di riconoscerlo per ciò che è.”
La porta sotto il portico era aperta, e in casa si faceva buio. Non si udivano i soliti suoni della sera, solo un piatto silenzio, un silenzio di morte. Entrò in casa, sussultando. Chiamò, ma non vi fu alcuna risposta.
Si fermò nello stretto corridoio che attraversava la casa, e gli apparve immerso nell’oscurità; dall’esterno non proveniva neanche un barlume di luce. D’un tratto lo fiutò, o così gli sembrò, benché fosse più una sensazione interna che esterna: fiutò l’antico Male e lo riconobbe per ciò che era.


LETTERA DELL'AUTORE
Da una lettera di Tolkien del 13 marzo 1964
Ho iniziato una storia che si svolge circa cento anni dopo la Caduta (di Mordor), ma si è rivelata sinistra e deprimente. Dato che abbiamo a che fare con uomini è inevitabile che si debba prendere in considerazione una delle caratteristiche più deprecabili della loro natura: il fatto che presto si stancano del bene. E così la gente di Gondor in epoche di pace, giustizia e prosperità è diventata scontenta e inquieta - mentre la dinastia discesa da Aragorn ha prodotto re e governatori - come Denethor, se non peggio.
Ho scoperto che anche in epoche così antiche ci fu un fiorire di trame rivoluzionarie, incentrate su una religione satanica segreta; mentre i ragazzi di Gondor giocavano a travestirsi da orchi e andavano in giro a fare danni. Avrei potuto ricavarne un thriller con il complotto e la sua scoperta e la sua sconfitta - ma non ci sarebbe stato altro. Non ne valeva la pena.
Era passato quasi un secolo da quando Sauron,il Negromante, fu sconfitto definitivamente. Come i Saggi sapevano, l'Oscuro Signore non mori. Egli, tuttora, vaga per la Terra di Mezzo, cercando di corrompere il Bene. Con gli Elfi quasi scomparsi, tutti partiti per le Terre Immortali, rimanevano nella Terra di Mezzo solamente Uomini, Nani e Hobbit, senza contare le creature di Sauron. Quest'ultime si vocifera che si stiano moltipilicando a Mordor, in silenzio. Benchè ci fossero ancora i Nani e gli Hobbit, gli Uomini dominavo sul continente. Gli Hobbit, benchè avessero salvato il destino della Terra di Mezzo, erano invisibili, mentre i Nani erano sottoterra o nell'interno delle montagne, dove furono creati tempo fa dal figlio Eru. I Nani aveva riconquistato le Miniere di Moria, ricostruendo la città di Nanosterro. La stirpe di Durin, però, regnava a Erebor. Il re di Erebor al tempo di questa storia , era Thorin III, l' Elminpietra. Il regno di Erebor era tornato fiorente, come prima dell'arrivo di Smaug. Ai piedi della Montagna Solitaria, era stato istaurato il Regno sul Lago Lungo, formato da Dale, la capitale, ed Esgaroth. Qua regnava Bard II, bisnipote di quel Bard che uccise il Drago Smaug e figlio di quel Brand che mori combattendo insieme a Re Dain II (padre di Thorin III) durante la Guerra dell'Anello. Intanto, a Gondor, si stava diffondendo una nuova religione, la Religione Mairon (Sauron). Questa religione venerava Sauron e le sue opere e diffondevano la loro parola con violenze e razzie.
PROLOGO
Era passata mezzanotte, Saelon era sulla cinta delle mura di Minas Tirith insieme a un gruppo di arcieri, quando una decina di cavalieri neri arrivarono al cancello.
''Chi va là?'' chiese Loldir, un arciere
'' E' arrivato Mairon'' rispose aspramente un cavaliere nero
''Aprite il cancello'' disse Saelon sorridendo ''Sono amici''
I Cavalieri neri sfrecciarono silenziosamente nella cittadella senza che nessuno aggiungesse altro.
''Mairon non è chi penso io?'' chiese Loldir
''Dipende..a chi pensi tu?'' disse Thangail
'' Penso alla torre oscura e all'occhio in cima ad essa'' rispode Loldir
'' La Torre Oscura è caduta da un secolo'' ribattè Thangail
'' Ma Sauron? Mithrandir ha detto che non è morto definitivamente''
'' Loldir hai vissuto cosi tanto da aver veduto Mithrandir? Avrai si o no ventanni...''
'' Me lo raccontò il Sovrintendente Faramir quando ero bambino...comunque hai sentito di Borlas?''
'' Cosa?''
''Ha detto di aver visto Sauron in casa sua!''
'' E' un folle'' disse Thangail ''Sauron? In casa sua? Bazzeccole! Come può dire di aver visto Sauron?
'' Dice di aver visto un ombra dalle sembianze umane''
Thangail e Loldir guardarono verso Mordor e rabbrividirono.
''Se fosse vero, gli Elfi e Mithrandir ci hanno lasciati soli a combattere questa nuova ombra''
'' Qualche Elfo è rimasto. Se non erro, Re Thranduil del Reame Boscoso è rimasto. Poi, una volta, Sire Eldarion mi disse che suo padre, Re Elessar, gli raccontò che uno stregone è rimasto perchè falli nella sua missione da Istaro. Mi sembra che abiti in esilio al limitare di Bosco Atro, in un posto chiamato Rhosgobel. Potremmo chiedergli aiuto?''
''Chiedergli aiuto? Ancora non sappiamo se ciò che dici è vero!''
Nel preciso momento in cui Thangail parlò, un boato proveni da dietro di loro. Essi si voltarono e videro l'Albero Bianco andare a fuoco. Nell'aria si sentirono queste parole:
ASH NAZG DURBATULUK,
ASH NAZG GIMBATUL,
ASH NAZG THRAKATULUK,
AGH BURZUM ISHI KRIMPATUL


Scese il popolo in strada ed iniziò ad applaudire. I pochi oppositori vennero giustiziati dal popolo o dai Cavalieri, i quali si rivelarono Numenoreani Neri. Il capo dei Cavalieri era la Bocca di Sauron, il luogotenente del Cancello Nero durante la Guerra dell'Anello. Egli era stato ritenuto morto nella battaglia ai piedi del Morannon, come precisò in seguito Loldir. Con il sangue degli oppositori, il popolo disegnò sui muri della cittadella l'Occhio di Sauron. Thangail e Loldir si diedero alla fuga. Preserò un cavallo a testa e uscirono dal cancello, galloppando il più lontano possibile.Passarono una settimana galoppando alla ricerca di un posto dove alloggiare. All'ottavo giorno, essi arrivarono ad Edoras, a Rohan. Alle porte di Edoras, trovarono il Sovrintendente Elboron, figlio di Faramir, e Re Eldarion, figlio di Aragorn.
''Nostro Re e nostro Sovrintendente, cosa è successo sette notti fa?'' chiese Thangail
'' Speravamo che ce lo diceste voi'' rispose Elboron
'' Secondo me è un complotto dei Dunedain Neri'' disse il Re
'' I Dunedain Neri?'' chiesero i soldati
'' I Dunedain che aderiscono al veneramento di Sauron e di Morgoth'' rispose Eldarion
'' Affrettiamoci ad entrare prima che cali il sole''
Nel palazzo d'oro, i quattro compagni di sventure raccontarono l'incendio dell'albero bianco al re di Rohan, Elfwine, figlio di Eomer, il quale non seppe dare un significativo aiuto al Re e ai suoi compagni. I quattro alloggiarono due settimane a Edoras per poi ripartire.
''Dove andiamo ora?'' chiese Loldir
'' Io dico di andare ad est,dagli Elfi di Bosco Atro'' disse Thangail
'' Dubito che Thranduil ci dia una mano'' rispose Elboron
'' Cosa abbiamo da perdere?'' disse Eldarion
RE THRANDUIL
Ci misero uno o due mesi ad arrivare davanti alle porte del Reame Boscoso, l'ultimo regno degli Elfi rimasto sulla Terra Di Mezzo. Stranamente, Thranduil li accudi senza indugio, per non ripetere gli errori fatti diversi secoli prima.
''Sauron?'' domandò dopo essersi fatto raccontare la loro storia
'' Non direttamente'' rispose Thangail '' Come sanno i Saggi, lui non potrà più nuocere finchè Morgoth non verrà liberato dalla sua prigione e finchè non arriverà l'Ultima Battaglia e la Fine di Arda''
'' Tale è la natura del male'' disse Thranduil alzandosi dal trono '' col tempo tutte le cose orrende vengono fuori, col tempo, spunteranno proprio dove sono state sepolte. La Terra di Mezzo è corrotta. Forti sono le Radici del Male. Sono alle fondamenta della Terra di Mezzo, e se le fondamenta sono corrose, dopo un po, crolla tutto. Nella Terra di Mezzo, c'è sempre stato un delicato equilibrio, mantenuto dagli Elfi e dagli Istari per tre ere. E ora che questi se ne sono andati, l'equilibrio si è spezzato. Per quanto questo possa sembrare il Destino, in verità si tratta di un piano a lungo premeditato da Sauron e da Morgoth.''
''Cosa intendi dire?'' chiese Eldarion
''Intendo dire che i Due Oscuri Signori avevano predetto come sarebbero andate le cose. Dopo la Guerra dell'Ira, conclusa con la sconfitta di Morgoth e lo sprofondamento di una parte della Terra di Mezzo nell'Oceano, Sauron prese il posto di Morgoth per rinforzate le radici corrotte che quest'ultimo instaurò. Sauron ha cercato per millenni di prendere il potere, ma quando l'Anello fu distutto e Sauron venne sconfitto, ormai era troppo tardi. Infatti, il loro male ormai si era diffuso per il Mondo, un Mondo ormai privo di Elfi. Sauron ha approfittato della debolezza degli Uomini per corrompere in modo irreparabile la Terra di Mezzo. Sauron magari non sarà in grado di nuocere personalmente, ma sarà in grado di farlo fare ad altri per conto suo, come difatti ha fatto.Ormai si può soltanto aspettare che la Fine arrivi, e che i Due Oscuri Signori tornino e distruggano Arda. Partirò per le Terre Immortali, e io attenderò li, con i miei padri.''
''E cosi che devono andare le cose? Non c'è altro da fare? Voi Elfi ci avete abbondonato a combattere questo male sapendo che ci avrebbe sopraffatto!'' rispose Elboron furioso '' Voi Elfi ci avete lasciato soccombere''
'' Elboron, figlio di Faramir ed Eowyn, non essere furioso. Questa è la volontà di Eru. Posso accogliore te sulle Navi Grigie, Sire Eldarion, in quanto Mezzelfo''
''Ringrazio la tua offerta, Re Thranduil, ma devo rifiutare. Non posso lasciare la mia gente qua a morire, quando io, il loro Re, sono tranquillo nelle Terre Immortali. Se mai dovrò andarci, ci andrò per chiedere aiuto ai Valar per salvare questa bella terra dal Male e fare ritorno qua, se non perirò nell'impresa!'' rispose Eldarion con le lacrime negli occhi
'' Sei l'uomo più puro d'animo che abbia mai conosciuto, assomigli molto a tuo padre Sire Aragorn, è un peccato che questo debba accadere nei tuoi giorni. Benedico te e la tua impresa, e naturalmente voi'' rivolgendosi a Thangail, Loldir e Elboron ''se tu Sire Eldarion partirai per questa impresa, dovrai essere accompagnato da uomini d'onore, come voi tre'. Ora vi chiedo di andarvene gentilmente, tra poco partirò e non posso più darvi protezione. Addio!''
L'ULTIMO DEGLI ISTARI
Il giorno dopo se ne andarono, con acqua e provviste. Essi, decisi a partire per Aman per salvare la Terra di Mezzo, ma dovevano rivolgersi a qualcuno che ci era già stato per indicare loro la navigazione. Chi poteva andare meglio di Radagast il Bruno, ultimo degli Istari, a cui era stato negato il ritorno con onore a Valinor?
Egli si trovava ai confini occidentali di Bosco Atro, in un luogo chiamato Rhosgobel. Ci misero un po' a trovare questo posto, e prima chiesero ai Beorniani e Re Thranduil. Era una casa contruita sopra quattro o cinque alberi, con una scala a chiocciola in legno che portava sopra. Bussarono ed ad aprire loro la porta c'era un uomo anziano vestito di con un abito marrone chiaro quasi ocra. '' A che devo l'onore della visita? E' da tanto che non ne ho avuta una. A dir il vero quasi un secolo'' disse lo stregone
'' Il mio nome è Eldarion, re di Gondor. E io e i miei amici siamo qua per chiederti aiuto.'' rispose Eldarion
Gli raccontarono tutta la storia per filo e per segno, dal racconto di Borlas, all'incontro con Thranduil. '' Credi di poterci indicare la via per Valinor?'' chiese infine Elboron
'' Si, cioè no,no. Non posso accompagnarvi, non sarei il benvenuto.''
''Lo sarai se ci accompagni. C'è in gioco il destino di Arda! Potrai essere perdonato dai Valar, potrai rimanere là per sempre, potrai rivedere Gandalf!''
L'idea di essere riammesso con onore a Valinor, gli fece subito cambiare idea.
'' Va bene, va bene. Se vogliamo andare dobbiamo metterci subito in viaggio per i Porti Grigi.''
6 Mesi dopo
Non avrebbero mai dato loro una barca, quindi non restava altro che rubarla. Aspettarono che calasse il Sole, poi attesero altre due ore cosi che le sentinelle calassero la guardia. ''Shh. Prendete i remi e iniziamo a muoverci'' disse Radagast quando misero piede sull'imbarcazione. Quando arrivò l'alba erano appena usciti dalla baia di Lindon. Ci misero altre tre settimane ad arrivare a Valinor. Per quanto la mente di Radagast fosse decrepita, riusciva a ricordarsi vagamente l'itinerario. Quando arrivarono erano quasi morti, non mangiavano da una settimana ed erano stanchi, dopo quasi un mese di navigazione. Videro una luce in lontananza e svennero tutti, tranne Radagast.
''Che giorno è e dove sono?'' disse Eldarion quando si svegliò
'' E' il 28 giugno dell'anno 106 della Quarta Era'' rispose una voce vagamente conosciuta
''Gandalf!!!'' gridò Eldarion quando apri gli occhi

Pubblicherò la seconda parte entro qualche di settimana.

mercoledì 4 giugno 2014

La Nuova Ombra, il seguito mai finito di ISDA. Tolkien in una lettera spiega il perchè

LA NUOVA OMBRA 
Questo racconto inizia nei giorni di Eldarion, figlio di quell’Elessar di cui le cronache hanno molto da raccontare. Centocinque anni erano trascorsi dalla caduta della Torre Oscura, e quella storia era ormai stata dimenticata da molti a Gondor, benché ancora vivessero alcuni che ricordavano la Guerra dell’Anello come un’ombra sulla loro infanzia. 
Uno di questi era il vecchio Borlas di Pen- arduin. Egli era il figlio minore di Beregond, il primo Capitano della Guardia del Principe Faramir, che si era mosso insieme al suo signore dalla Città agli Emyn Arnen. 
“Profonde invero si estendono le radici del Male,” disse Borlas, “e in esse è forte la linfa nera. È un albero che non sarà mai distrutto. Gli uomini possono abbatterlo quanto vogliono, questi germoglierà prima ancora che possano voltarsi. Nemmeno per la Festa dell’Abbattitura le scuri sarebbero appese al muro!” 
“Chiaramente pensi di pronunciare parole sagge,” disse Saelon. “Lo desumo dalla profondità della tua voce, e dalla tua testa bassa. Ma di cosa stai parlando? Mi sembra che la tua vita sia abbastanza tranquilla, la vita di un vecchio uomo che ormai non viaggia molto. Dove hai visto crescere i germogli dell’albero oscuro? Nel tuo giardino?” 
Borlas alzò il capo, lanciò uno sguardo penetrante su Saelon, e si chiese se quel giovane, apparentemente allegro e scherzoso, non ne sapesse più di quanto mostrasse. Borlas non voleva confidarsi con lui, ma era preoccupato, e perciò aveva parlato ad alta voce, più a se stesso che all’altro. Saelon non ricambiò il suo sguardo, ma continuò a intagliare uno zufolo da un verde salice con un coltello affilato, parlando a bassa voce. 
I due stavano in un pergolato vicino alla ripida costa orientale dell’Anduin, ai piedi dei colli di Arnen. Erano nel giardino della piccola casa di pietra grigia di Borlas, nascosta tra gli alberi del pendio occidentale. Borlas guardò il fiume, gli alberi vestiti di giugno e, più oltre, le torri della Città illuminate dal rosso del tramonto. “No, non nel mio giardino,” disse pensieroso. 
“Allora perché ti preoccupi tanto? chiese Saelon. “Un uomo che possiede un giardino tranquillo, circondato da forti mura, ha tutto ciò che può desiderare.” Si interruppe. “Finché è ancora in vita,” aggiunse. 
“Negli ultimi anni della sua vita, perché preoccuparsi dei mali minori? 
Alla fine dovrà lasciare il suo giardino, e saranno gli altri a doversi occupare delle erbacce.” 
Borlas sospirò, ma non rispose. Saelon continuò: “Ma ci sono alcuni che non sono mai contenti, e alla fine dei loro giorni si preoccupano dei loro vicini, della Città, del Regno e del mondo intero. Tu sei uno di questi, Mastro Borlas, lo sei sempre stato, dal giorno in cui da fanciullo mi afferrasti nel tuo frutteto. Anche allora non lasciasti che il male facesse il suo corso, prendendomi a bastonate o rafforzando il tuo recinto. No, tu eri addolorato, volevi cambiarmi. Mi portasti a casa tua e mi parlasti. 
“Lo ricordo bene. ‘Cose da Orchi!, ’ ripetevi. ‘Posso capire che un ragazzo possa rubare frutta buona, se è affamato o se suo padre è troppo permissivo. Ma cogliere mele acerbe, per il gusto di romperle e gettarle via! Queste sono cose da Orchi. Come sei giunto a fare una cosa simile, ragazzo? ’ 
“Cose da Orchi! Ero così arrabbiato, Mastro Borlas, ma ero troppo orgoglioso per risponderti, benché avrei voluto dirti: ‘Cogliere una mela per giocarci è altrettanto sbagliato che coglierla per mangiarla, e non lo è di più. Non parlarmi di cose da Orchi, o te le faccio vedere io! ’ 
“Fu uno sbaglio da parte tua, Mastro Borlas. Fino ad allora avevo già ascoltato racconti sugli Orchi e sulle loro attività, ma non mi avevano mai interessato. Tu risvegliasti il mio interesse nei loro confronti. 
Commisi solo piccoli furti (mio padre non era affatto permissivo), ma da allora non dimenticai gli Orchi. Iniziai a nutrire odio nei tuoi confronti e a meditare vendetta. Con gli amici giocavo agli Orchi, e a volte pensavo: ‘Perché non radunare la mia banda e andare ad abbattere i suoi alberi? Così penserà che gli Orchi sono davvero ritornati. ’ Ma è stato tanto tempo fa,” disse Saelon con un sorriso. 
Borlas era sorpreso. Ora era Saelon che si confidava con lui. E c’era qualcosa d’inquietante nel tono del giovane, al punto che si chiese se in fondo il risentimento che aveva provato da bambino non fosse ancora vivo, come le radici degli alberi oscuri. Sì, perfino nel cuore di Saelon, l’amico di suo figlio, il giovane che con la sua socievolezza gli aveva reso meno penosa la solitudine. Ad ogni modo, decise di non rivelargli altro dei suoi pensieri. 
“Ahimè!” disse, “tutti noi commettiamo errori. Non pretendo di essere saggio, ragazzo, ad eccezione di quel poco che si può diventarlo col passare degli anni. Ma conosco fin troppo bene la triste verità secondo cui coloro che vogliono far del bene possono arrecare più danni di quelli che lasciano le cose al loro corso. Mi dispiace per ciò che dissi, se ciò ha nutrito il tuo odio. Ma credo ancora che avessi ragione; forse fui intempestivo, ma ero nel giusto. Anche un ragazzo deve capire che la frutta è frutta, e non va raccolta prima che sia matura; abusarne quando è acerba è peggio che rubarla a chi l’ha coltivata, perché così si deruba il mondo intero, impedendo il compimento di una cosa buona. Chi si comporta in questo modo partecipa alla rovina e alla cancrena delle forze del male. Agisce come gli Orchi.” 
“E come gli Uomini,” lo interruppe Saelon. “No, non mi riferisco solo agli uomini selvaggi, o a quelli cresciuti ‘sotto l’Ombra’, come si dice. Intendo tutti gli Uomini. Oggi non mi interessa raccogliere la tua frutta acerba, ma solo perché non saprei che farmene, non per le tue nobili ragioni, Mastro Borlas. Penso invece che il tuo ragionamento sia guasto come una mela lasciata per troppo tempo in magazzino. Dal punto di vista degli alberi tutti gli Uomini sono Orchi. Forse gli Uomini ci pensano su prima di abbattere un albero, di usarlo per i loro fini, per farsi strada, per usarlo come legna o carburante, o semplicemente per aprirsi una veduta? Se gli alberi potessero giudicare, considererebbero gli Uomini migliori degli Orchi, o piuttosto li vedrebbero fonte di rovina, come una cancrena? Con quale diritto, si chiederebbero, gli Uomini si nutrono della nostra linfa come parassiti?” 
“Un uomo,” rispose Borlas, “che cura un albero e lo difende dai parassiti e da altri nemici, non agisce come un Orco o una cancrena. Se mangia i suoi frutti, non gli fa torto. Esso produce più frutta di quanto necessiti per il suo fine, la continuazione della specie.” 
“Fa che mangi la frutta, allora, o ci giochi,” disse Saelon. “Tuttavia io mi riferivo a quando gli uomini giusti uccidono gli alberi, li tagliano o li bruciano, e alle ragioni per cui lo fanno”. 
“Non hai detto questo. Tu hai parlato del giudizio degli alberi in materia. Ma gli alberi non giudicano. I figli dell’Uno sono i signori. Già conosci ciò che penso. In origine i mali del mondo non appartenevano al grande Tema, ma vennero introdotti dalle dissonanze di Melkor. Gli uomini non trassero origine da queste dissonanze, ma furono creati in seguito da Eru, l’Uno, e perciò sono chiamati i Suoi figli, e hanno diritto di usare per il loro bene tutto ciò che fu nel tema, non in modo superbo o licenzioso, ma con riverenza. 
“Se d’inverno il figlio di un boscaiolo ha freddo, anche all’albero più fiero non viene fatto torto se la sua vita è necessaria a riscaldare il bambino col fuoco. Ma il bambino non deve deturpare l’albero, per gioco o per dispetto, strappando la sua corteccia o i suoi rami. E un buon contadino, se può, userà prima la legna che già possiede o quella di un vecchio albero, e non taglierà un albero giovane né lascerà che marcisca, per il solo piacere di usare la scure. Così agiscono gli Orchi. 
“È anche vero quanto ho detto prima: le radici del Male si estendono in profondità, e il veleno che agisce in noi viene da lontano, sicché a volte molti si comportano in questo modo, e diventano simili ai servi di Melkor. Ma gli Orchi agivano sempre così, godevano a danneggiare e a far soffrire ogni cosa, e si fermavano solo quando veniva loro impedito, non per prudenza o pietà. Ma di ciò abbiamo parlato abbastanza.” 
“Perché?” disse Saelon. “Abbiamo appena cominciato. Quando parlavi della rinascita dell’albero oscuro non era al tuo frutteto, né alle mele, né a me che stavi pensando. Tuttavia, posso indovinare cosa stavi meditando. Ho occhi e orecchie aperti, Mastro Borlas.” La sua voce divenne un sussurro, appena udibile sul mormorio del vento freddo tra le foglie, mentre il sole si abbassava sul Mindolluin. “Dunque anche tu hai udito il nome”, disse con un filo di voce, “di Herumor?” 
Borlas lo guardò con stupore e paura. La sua bocca tremava, cercava di parlare, ma non ci riusciva. 
“Vedo che lo conosci,” disse Saelon. “E mi sembri stupito di apprendere che l’ho udito anch’io. Ma sono più stupito io, nel vedere che il nome è arrivato fino a te. Come ti ho detto, io ho occhi e orecchie aperti, ma i tuoi sono stanchi anche nelle faccende quotidiane, ed è strano che un affare tanto segreto sia giunto a tua conoscenza.” 
“Tenuto segreto da chi?” gridò Borlas, con violenza. I suoi occhi potevano anche essere stanchi, ma adesso fiammeggiavano con rabbia. 
“Suvvia, da coloro che hanno udito la sua chiamata, e chi altri?, rispose Saelon impassibile. “Non sono così numerosi da contrastare il popolo di Gondor, ma il loro numero va crescendo. Non tutti sono sod-disfatti da quando il Grande Re è morto, e sono sempre meno coloro che ne sono dispiaciuti.” 
“Così avevo ragione,” disse Borlas, “è questo pensiero che angoscia il mio cuore, come un vento freddo d’estate. Un uomo può vivere in un giardino circondato da alte mura, Saelon, e tuttavia non trovarvi pace né serenità. Ci sono nemici che queste mura non possono tenere fuori, poiché il suo giardino è parte di un regno che lo custodisce. È alle mura del regno che deve rivolgersi, se vuole essere realmente sicuro. Ma che cos’è la chiamata? Cosa hanno intenzione di fare?” gridò, allungando la mano verso le ginocchia del giovane. 
“Prima di risponderti ti porrò una domanda a mia volta,” disse Sae- 
lon, che adesso cercava lo sguardo del vecchio. “In che modo tu, che 
vivi nell’Emyn Arnen e di rado ti rechi persino nella Città, sei venuto a 
conoscenza delle voci sul nome?” 
Borlas abbassò lo sguardo e unì le mani sotto le ginocchia. Per un attimo non rispose. Poi guardò nuovamente Saelon, con il volto indurito e un’espressione più prudente. “Non risponderò alla tua domanda, Saelon,” disse. “Non fintanto che avrai risposto a un’altra domanda. Prima dimmi,” disse lentamente, “tu sei tra quelli che hanno udito la chiamata?” 
Uno strano sorriso apparve sul volto del giovane. “L’attacco è la migliore difesa,” rispose, “come ci dicono i Capitani, ma quando entrambi i fronti ricorrono a questa strategia, vuol dire che c’è fragore di battaglia. Cercherò di essere al tuo pari. Non risponderò alla tua domanda, Mastro Borlas, finché tu non mi avrai risposto: sei tra quelli che hanno udito la chiamata, o no?” 
“Come puoi pensarlo?” gridò Borlas. 
“E tu come puoi pensarlo? chiese Saelon. 
“Quanto a me,” disse Borlas, “tutte le mie parole non ti hanno già risposto?” 
“E tu invece,” aggiunse Saelon, “nutri dubbi su di me solo perché ho difeso un ragazzino che tirava per gioco le mele ai suoi compagni dall’accusa di essere un Orco? O perché ho parlato delle sofferenze degli alberi provocate dagli uomini? Mastro Borlas, è poco saggio giudicare il cuore di un uomo sulla base delle parole pronunciate su un argomento che non condivide, solo perché queste parole lo disturbano. 
Forse sono impertinenti, ma sono sempre meglio di un’eco ossequiosa. 
Non dubito che coloro con cui parli usano parole solenni quanto le tue, e in tua presenza parlano con riverenza del Grande Tema e di cose simili. Dunque, chi risponde per primo?” 
“Il più giovane, che dovrebbe usare cortesia verso il vecchio,” disse Borlas, “o colui a cui la domanda è stata posta per primo. In entrambi i casi sei tu a dover rispondere.” 
Saelon sorrise. “Molto bene,” disse. “vediamo: la prima domanda che mi hai rivolto è stata: che cos’è la chiamata, cosa hanno intenzione di fare? Con la tua età e tutta la tua esperienza non riesci proprio a trovare una risposta? Io sono giovane e ho meno esperienza di te, tuttavia, se lo desideri veramente, forse posso chiarirti il significato delle voci.” 
Si alzò in piedi. Il sole era tramontato oltre i monti, e si faceva buio. 
Le mura occidentali della casa di Borlas, sul lato della collina, erano indorate dal crepuscolo, ma sul fondo il fiume era scuro. Guardò in alto, poi voltò lo sguardo verso l’Anduin. “È una bella serata,” disse, “ma il vento si muove a est. Stanotte la luna sarà coperta da nubi.” 
“Bene, e con ciò?” disse Borlas, rabbrividendo un po’ per l’aria fredda. “Forse vuoi dire che un vecchio dovrebbe affrettarsi a rincasare per mantenere le sue ossa all’asciutto?” Si alzò e si diresse verso il sentiero che conduceva alla sua casa, pensando che il giovane non avesse più nulla da dirgli, ma Saelon si pose davanti a lui, trattenendolo per un braccio. 
“Voglio dire invece che dovrai indossare abiti pesanti dopo il crepuscolo,” disse. “Se vuoi saperne di più, se lo vuoi davvero, dovrai metterti in viaggio con me, stanotte. Ti aspetterò all’entrata orientale della tua casa, sul retro, o almeno passerò da quel lato quando sarà notte fonda, sarai tu a decidere se venire o meno. Indosserò un abito nero, e chiunque verrà con me dovrà essere vestito così. Ora addio, Mastro Borlas! 
Pensaci, finché dura la luce del giorno.” 
Con ciò Saelon s’inchinò e si allontanò, per un altro sentiero che costeggiava la ripida sponda del fiume, andando a nord, verso la casa di suo padre. Quando scomparve al di là di una curva, le sue parole ancora echeggiavano nella mente di Borlas. 
Dopo che Saelon si fu allontanato, per qualche attimo Borlas rimase in silenzio, con le mani sul volto, appoggiando la fronte sulla fredda corteccia di un albero lungo il sentiero. Cercava di richiamare alla mente come era iniziata quella strana e allarmante discussione. Non sapeva ancora cosa avrebbe fatto dopo il crepuscolo. 
Dall’inizio della primavera non si sentiva bene, benché fosse piuttosto in forma per la sua età, che gli pesava meno della sua solitudine. Da quando ad aprile suo figlio Berelach era partito di nuovo - lavorava sulle Navi, e ora viveva nei pressi di Pelargir - Saelon era divenuto più premuroso, quando era a casa. Di recente, era spesso in viaggio. Borlas non era al corrente dei suoi affari, sapeva solo che si occupava, tra l’altro, di legname. Portava notizie del regno al vecchio amico, o meglio, al padre del vecchio amico, poiché un tempo Berelach era stato il suo compagno più fedele, sebbene ora si incontrassero di rado. 
“Certo, è andata così”, si disse Borlas. “Ho parlato a Saelon di Pelargir, riferendomi a Berelach. C’è stato qualche piccolo incidente all’Ethir: alcuni marinai sono scomparsi, e anche un piccolo vascello della Flotta. Niente di più, secondo Berelach. 
“ ‘La pace indebolisce gli animi, ’ mi sembra che disse, in veste di sottufficiale. ‘Hanno usato qualche stratagemma per disertare, così sembra - forse delle conoscenze in uno dei porti occidentali - ma senza una guida sono annegati. Gli sta bene. In questi tempi ci sono sempre meno veri marinai, la pesca è più redditizia. Ma almeno tutti sapranno che le coste occidentali non sono sicure per chi non ha esperienza. ’ ” 
“Fu tutto qui. Ma ne ho parlato a Saelon, e gli ho chiesto se a sud avesse udito qualcosa su quest’episodio. ‘Sì, ’ mi ha risposto, ‘pochi hanno creduto alla versione ufficiale. Quegli uomini non erano inesperti, erano figli di pescatori. E in quel periodo non vi erano state particolari tempeste lungo la costa. ’ ” 
Nell’udire ciò, Borlas improvvisamente rammentò altre voci, che gli erano state riferite da Othrondir. Era lui che aveva usato per primo la parola “cancrena”. Questo pensava Borlas quando aveva cominciato a parlare tra sé, ad alta voce, dell’Albero Oscuro. 
Borlas scoprì gli occhi e accarezzò il tronco armonioso dell’albero al quale si era appoggiato, guardando il cielo sempre più scuro attraverso le sue foglie ombrose. Una stella brillava al di là dei rami. Continuò a parlare, sottovoce, come se si rivolgesse all’albero. 
“Dunque, come mi devo comportare adesso? È chiaro che Saelon è coinvolto in questa storia. O non lo è? C’era lo scherno nelle sue parole, e il disprezzo per le regole di vita degli Uomini. Non ha voluto dirmi neanche il motivo degli abiti neri! Tuttavia, perché invitarmi ad andare con lui? Non certo per convertire il vecchio Borlas! Inutile. Inutile provarci: nessuno spererebbe di averla vinta su un vecchio che ancora ricorda il Male, per quanto distante. Inutile anche se si riuscisse a convincerlo: il vecchio Borlas non serve a nulla. Saelon potrebbe aver voluto giocare alla spia, cercando di scoprire qualcosa in più sulle voci che circolano. L’abito nero potrebbe essere un travestimento o servire a muoversi furtivamente nella notte. Ma, tuttavia, di che aiuto potrei essere io in un incarico segreto e pericoloso? Sarei più utile fuori dai piedi.” 
Un gelido pensiero attraversò il cuore di Borlas. Fuori dai piedi - era dunque ciò che volevano? Lo avrebbero condotto in qualche luogo dove sarebbe scomparso, come i Marinai? L’invito di Saelon era giunto nel momento in cui gli aveva rivelato di essere a conoscenza delle voci, e persino di aver udito il nome. E gli aveva dichiarato apertamente la sua ostilità. 
Questo pensiero spinse Borlas a decidersi: al calar della notte avrebbe atteso Saelon al cancello, vestito di nero. Era stato sfidato, e non voleva tirarsi indietro. Appoggiò con forza il palmo della mano sull’albero. “Non sono ancora un vecchio rimbambito, Neldor,” disse, “ma la morte non è tanto distante per sprecare molti anni preziosi, perdendo le occasioni concesse.” 
Raddrizzò la schiena e alzò la testa, incamminandosi lungo il sentiero, lentamente, ma con passo deciso. Quando varcò la soglia di casa, un pensiero gli balenò nella mente: “Forse ho vissuto così a lungo per questo scopo: che ci fosse ancora qualcuno che ricordasse lucidamente ciò che è accaduto prima della Grande Pace. Il naso ha una lunga memoria, penso di potermi ricordare ancora l’odore dell’antico Male, e di riconoscerlo per ciò che è.” 
La porta sotto il portico era aperta, e in casa si faceva buio. Non si udivano i soliti suoni della sera, solo un piatto silenzio, un silenzio di morte. Entrò in casa, sussultando. Chiamò, ma non vi fu alcuna risposta. 
Si fermò nello stretto corridoio che attraversava la casa, e gli apparve immerso nell’oscurità; dall’esterno non proveniva neanche un barlume di luce. D’un tratto lo fiutò, o così gli sembrò, benché fosse più una sensazione interna che esterna: fiutò l’antico Male e lo riconobbe per ciò che era. 

Qui finisce La Nuova Ombra, e non si saprà mai che cosa avesse trovato Borlas nella sua casa buia e silenziosa, né che ruolo giocasse Saelon e quali intenzioni avesse. 


Lettera di Tolkien del 13 marzo 1964

Ho iniziato una storia che si svolge circa cento anni dopo la Caduta (di Mordor), ma si è rivelata sinistra e deprimente. Dato che abbiamo a che fare con uomini è inevitabile che si debba prendere in considerazione una delle caratteristiche più deprecabili della loro natura: il fatto che presto si stancano del bene. E così la gente di Gondor in epoche di pace, giustizia e prosperità è diventata scontenta e inquieta - mentre la dinastia discesa da Aragorn ha prodotto re e governatori - come Denethor, se non peggio. 
Ho scoperto che anche in epoche così antiche ci fu un fiorire di trame rivoluzionarie, incentrate su una religione satanica segreta; mentre i ragazzi di Gondor giocavano a travestirsi da orchi e andavano in giro a fare danni. Avrei potuto ricavarne un thriller con il complotto e la sua scoperta e la sua sconfitta - ma non ci sarebbe stato altro. Non ne valeva la pena.


lunedì 2 giugno 2014

La Colonna Sonora della Prima Trilogia (Il Signore degli Anelli)


La Colonna sonora completa del Signore degli Anelli:
0:00:00 - The Prophecy
0:03:55 - Concerning Hobbits
0:06:50 - The Shadow Of The Past
0:10:23 - The Treason Of Isengard
0:14:23 - The Black Rider
0:17:12 - At The Sign Of The Prancing Pony
0:20:26 - A Knife In The Dark
0:24:00 - Flight To The Ford
0:28:15 - Many Meetings
0:31:21 - The Council Of Elrond
0:35:10 - The Ring Goes South
0:37:13 - A Journey In The Dark
0:41:33 - The Bridge Of Khazad-dum
0:47:31 - Lothlorien
0:52:05 - The Great River
0:54:48 - Amon Hen
0:59:50 - The Breaking Of The Fellowship
1:07:11 - May It Be

DIRECT LINKS - Part II - The Two Towers:
1:11:28 - Foundations Of Stone
1:15:20 - The Taming Of Smeagol
1:18:09 - The Riders Of Rohan
1:22:15 - Passage Of The Marshes
1:25:01 - The Uruk-hai
1:27:48 - King Of The Golden Hall
1:31:38 - The Black Gate Is Closed
1:34:40 - Evenstar
1:37:55 - The White Rider
1:40:24 - Treebeard
1:43:08 - The Leave Taking
1:46:49 - Helm's Deep
1:50:42 - The Forbidden Pool
1:56:10 - Breath Of Life
2:01:18 - The Hornburg
2:05:55 - Forth Eorlingas
2:09:10 - Isengard Unleashed
2:14:11 - Samwise The Brave
2:17:58 - Gollum's Song
2:23:50 - Farewell To Lorien

DIRECT LINKS - Part III - The Return Of The King:
2:28:27 - A Storm Is Coming
2:31:19 - Hope And Memory
2:33:05 - Minas Tirith
2:36:42 - The White Tree
2:40:07 - The Steward of Gondor
2:44:01 - Minas Morgul
2:45:59 - The Ride Of The Rohirrim
2:48:08 - Twilight And Shadow
2:51:38 - Cirith Ungol
2:53:23 - Anduril
2:55:58 - Shelob's Lair
3:00:05 - Ash And Smoke
3:03:30 - Fields Of The Pelennor
3:06:56 - Hope Fails
3:09:17 - The Black Gate Opens
3:13:19 - The End Of All Things
3:18:32 - The Return Of The King
3:28:46 - The Grey Havens
3:34:46 - Into The West