LA
NUOVA OMBRA
ANTEFATTO
Questo
racconto inizia nei giorni di Eldarion, figlio di quell’Elessar di
cui le cronache hanno molto da raccontare. Centocinque anni erano
trascorsi dalla caduta della Torre Oscura, e quella storia era ormai
stata dimenticata da molti a Gondor, benché ancora vivessero alcuni
che ricordavano la Guerra dell’Anello come un’ombra sulla loro
infanzia.
Uno
di questi era il vecchio Borlas di Pen- arduin. Egli era il figlio
minore di Beregond, il primo Capitano della Guardia del Principe
Faramir, che si era mosso insieme al suo signore dalla Città agli
Emyn Arnen.
“Profonde
invero si estendono le radici del Male,” disse Borlas, “e in esse
è forte la linfa nera. È un albero che non sarà mai distrutto. Gli
uomini possono abbatterlo quanto vogliono, questi germoglierà prima
ancora che possano voltarsi. Nemmeno per la Festa dell’Abbattitura
le scuri sarebbero appese al muro!”
“Chiaramente
pensi di pronunciare parole sagge,” disse Saelon. “Lo desumo
dalla profondità della tua voce, e dalla tua testa bassa. Ma di cosa
stai parlando? Mi sembra che la tua vita sia abbastanza tranquilla,
la vita di un vecchio uomo che ormai non viaggia molto. Dove hai
visto crescere i germogli dell’albero oscuro? Nel tuo giardino?”
Borlas
alzò il capo, lanciò uno sguardo penetrante su Saelon, e si chiese
se quel giovane, apparentemente allegro e scherzoso, non ne sapesse
più di quanto mostrasse. Borlas non voleva confidarsi con lui, ma
era preoccupato, e perciò aveva parlato ad alta voce, più a se
stesso che all’altro. Saelon non ricambiò il suo sguardo, ma
continuò a intagliare uno zufolo da un verde salice con un coltello
affilato, parlando a bassa voce.
I
due stavano in un pergolato vicino alla ripida costa orientale
dell’Anduin, ai piedi dei colli di Arnen. Erano nel giardino della
piccola casa di pietra grigia di Borlas, nascosta tra gli alberi del
pendio occidentale. Borlas guardò il fiume, gli alberi vestiti di
giugno e, più oltre, le torri della Città illuminate dal rosso del
tramonto. “No, non nel mio giardino,” disse pensieroso.
“Allora
perché ti preoccupi tanto? chiese Saelon. “Un uomo che possiede un
giardino tranquillo, circondato da forti mura, ha tutto ciò che può
desiderare.” Si interruppe. “Finché è ancora in vita,”
aggiunse.
“Negli
ultimi anni della sua vita, perché preoccuparsi dei mali minori?
Alla
fine dovrà lasciare il suo giardino, e saranno gli altri a doversi
occupare delle erbacce.”
Borlas
sospirò, ma non rispose. Saelon continuò: “Ma ci sono alcuni che
non sono mai contenti, e alla fine dei loro giorni si preoccupano dei
loro vicini, della Città, del Regno e del mondo intero. Tu sei uno
di questi, Mastro Borlas, lo sei sempre stato, dal giorno in cui da
fanciullo mi afferrasti nel tuo frutteto. Anche allora non lasciasti
che il male facesse il suo corso, prendendomi a bastonate o
rafforzando il tuo recinto. No, tu eri addolorato, volevi cambiarmi.
Mi portasti a casa tua e mi parlasti.
“Lo
ricordo bene. ‘Cose da Orchi!, ’ ripetevi. ‘Posso capire che un
ragazzo possa rubare frutta buona, se è affamato o se suo padre è
troppo permissivo. Ma cogliere mele acerbe, per il gusto di romperle
e gettarle via! Queste sono cose da Orchi. Come sei giunto a fare una
cosa simile, ragazzo? ’
“Cose
da Orchi! Ero così arrabbiato, Mastro Borlas, ma ero troppo
orgoglioso per risponderti, benché avrei voluto dirti: ‘Cogliere
una mela per giocarci è altrettanto sbagliato che coglierla per
mangiarla, e non lo è di più. Non parlarmi di cose da Orchi, o te
le faccio vedere io! ’
“Fu
uno sbaglio da parte tua, Mastro Borlas. Fino ad allora avevo già
ascoltato racconti sugli Orchi e sulle loro attività, ma non mi
avevano mai interessato. Tu risvegliasti il mio interesse nei loro
confronti.
Commisi
solo piccoli furti (mio padre non era affatto permissivo), ma da
allora non dimenticai gli Orchi. Iniziai a nutrire odio nei tuoi
confronti e a meditare vendetta. Con gli amici giocavo agli Orchi, e
a volte pensavo: ‘Perché non radunare la mia banda e andare ad
abbattere i suoi alberi? Così penserà che gli Orchi sono davvero
ritornati. ’ Ma è stato tanto tempo fa,” disse Saelon con un
sorriso.
Borlas
era sorpreso. Ora era Saelon che si confidava con lui. E c’era
qualcosa d’inquietante nel tono del giovane, al punto che si chiese
se in fondo il risentimento che aveva provato da bambino non fosse
ancora vivo, come le radici degli alberi oscuri. Sì, perfino nel
cuore di Saelon, l’amico di suo figlio, il giovane che con la sua
socievolezza gli aveva reso meno penosa la solitudine. Ad ogni modo,
decise di non rivelargli altro dei suoi pensieri.
“Ahimè!”
disse, “tutti noi commettiamo errori. Non pretendo di essere
saggio, ragazzo, ad eccezione di quel poco che si può diventarlo col
passare degli anni. Ma conosco fin troppo bene la triste verità
secondo cui coloro che vogliono far del bene possono arrecare più
danni di quelli che lasciano le cose al loro corso. Mi dispiace per
ciò che dissi, se ciò ha nutrito il tuo odio. Ma credo ancora che
avessi ragione; forse fui intempestivo, ma ero nel giusto. Anche un
ragazzo deve capire che la frutta è frutta, e non va raccolta prima
che sia matura; abusarne quando è acerba è peggio che rubarla a chi
l’ha coltivata, perché così si deruba il mondo intero, impedendo
il compimento di una cosa buona. Chi si comporta in questo modo
partecipa alla rovina e alla cancrena delle forze del male. Agisce
come gli Orchi.”
“E
come gli Uomini,” lo interruppe Saelon. “No, non mi riferisco
solo agli uomini selvaggi, o a quelli cresciuti ‘sotto l’Ombra’,
come si dice. Intendo tutti gli Uomini. Oggi non mi interessa
raccogliere la tua frutta acerba, ma solo perché non saprei che
farmene, non per le tue nobili ragioni, Mastro Borlas. Penso invece
che il tuo ragionamento sia guasto come una mela lasciata per troppo
tempo in magazzino. Dal punto di vista degli alberi tutti gli Uomini
sono Orchi. Forse gli Uomini ci pensano su prima di abbattere un
albero, di usarlo per i loro fini, per farsi strada, per usarlo come
legna o carburante, o semplicemente per aprirsi una veduta? Se gli
alberi potessero giudicare, considererebbero gli Uomini migliori
degli Orchi, o piuttosto li vedrebbero fonte di rovina, come una
cancrena? Con quale diritto, si chiederebbero, gli Uomini si nutrono
della nostra linfa come parassiti?”
“Un
uomo,” rispose Borlas, “che cura un albero e lo difende dai
parassiti e da altri nemici, non agisce come un Orco o una cancrena.
Se mangia i suoi frutti, non gli fa torto. Esso produce più frutta
di quanto necessiti per il suo fine, la continuazione della specie.”
“Fa
che mangi la frutta, allora, o ci giochi,” disse Saelon. “Tuttavia
io mi riferivo a quando gli uomini giusti uccidono gli alberi, li
tagliano o li bruciano, e alle ragioni per cui lo fanno”.
“Non
hai detto questo. Tu hai parlato del giudizio degli alberi in
materia. Ma gli alberi non giudicano. I figli dell’Uno sono i
signori. Già conosci ciò che penso. In origine i mali del mondo non
appartenevano al grande Tema, ma vennero introdotti dalle dissonanze
di Melkor. Gli uomini non trassero origine da queste dissonanze, ma
furono creati in seguito da Eru, l’Uno, e perciò sono chiamati i
Suoi figli, e hanno diritto di usare per il loro bene tutto ciò che
fu nel tema, non in modo superbo o licenzioso, ma con riverenza.
“Se
d’inverno il figlio di un boscaiolo ha freddo, anche all’albero
più fiero non viene fatto torto se la sua vita è necessaria a
riscaldare il bambino col fuoco. Ma il bambino non deve deturpare
l’albero, per gioco o per dispetto, strappando la sua corteccia o i
suoi rami. E un buon contadino, se può, userà prima la legna che
già possiede o quella di un vecchio albero, e non taglierà un
albero giovane né lascerà che marcisca, per il solo piacere di
usare la scure. Così agiscono gli Orchi.
“È
anche vero quanto ho detto prima: le radici del Male si estendono in
profondità, e il veleno che agisce in noi viene da lontano, sicché
a volte molti si comportano in questo modo, e diventano simili ai
servi di Melkor. Ma gli Orchi agivano sempre così, godevano a
danneggiare e a far soffrire ogni cosa, e si fermavano solo quando
veniva loro impedito, non per prudenza o pietà. Ma di ciò abbiamo
parlato abbastanza.”
“Perché?”
disse Saelon. “Abbiamo appena cominciato. Quando parlavi della
rinascita dell’albero oscuro non era al tuo frutteto, né alle
mele, né a me che stavi pensando. Tuttavia, posso indovinare cosa
stavi meditando. Ho occhi e orecchie aperti, Mastro Borlas.” La sua
voce divenne un sussurro, appena udibile sul mormorio del vento
freddo tra le foglie, mentre il sole si abbassava sul Mindolluin.
“Dunque anche tu hai udito il nome”, disse con un filo di voce,
“di Herumor?”
Borlas
lo guardò con stupore e paura. La sua bocca tremava, cercava di
parlare, ma non ci riusciva.
“Vedo
che lo conosci,” disse Saelon. “E mi sembri stupito di apprendere
che l’ho udito anch’io. Ma sono più stupito io, nel vedere che
il nome è arrivato fino a te. Come ti ho detto, io ho occhi e
orecchie aperti, ma i tuoi sono stanchi anche nelle faccende
quotidiane, ed è strano che un affare tanto segreto sia giunto a tua
conoscenza.”
“Tenuto
segreto da chi?” gridò Borlas, con violenza. I suoi occhi potevano
anche essere stanchi, ma adesso fiammeggiavano con rabbia.
“Suvvia,
da coloro che hanno udito la sua chiamata, e chi altri?, rispose
Saelon impassibile. “Non sono così numerosi da contrastare il
popolo di Gondor, ma il loro numero va crescendo. Non tutti sono
sod-disfatti da quando il Grande Re è morto, e sono sempre meno
coloro che ne sono dispiaciuti.”
“Così
avevo ragione,” disse Borlas, “è questo pensiero che angoscia il
mio cuore, come un vento freddo d’estate. Un uomo può vivere in un
giardino circondato da alte mura, Saelon, e tuttavia non trovarvi
pace né serenità. Ci sono nemici che queste mura non possono tenere
fuori, poiché il suo giardino è parte di un regno che lo
custodisce. È alle mura del regno che deve rivolgersi, se vuole
essere realmente sicuro. Ma che cos’è la chiamata? Cosa hanno
intenzione di fare?” gridò, allungando la mano verso le ginocchia
del giovane.
“Prima
di risponderti ti porrò una domanda a mia volta,” disse Sae-
lon,
che adesso cercava lo sguardo del vecchio. “In che modo tu, che
vivi
nell’Emyn Arnen e di rado ti rechi persino nella Città, sei venuto
a
conoscenza
delle voci sul nome?”
Borlas
abbassò lo sguardo e unì le mani sotto le ginocchia. Per un attimo
non rispose. Poi guardò nuovamente Saelon, con il volto indurito e
un’espressione più prudente. “Non risponderò alla tua domanda,
Saelon,” disse. “Non fintanto che avrai risposto a un’altra
domanda. Prima dimmi,” disse lentamente, “tu sei tra quelli che
hanno udito la chiamata?”
Uno
strano sorriso apparve sul volto del giovane. “L’attacco è la
migliore difesa,” rispose, “come ci dicono i Capitani, ma quando
entrambi i fronti ricorrono a questa strategia, vuol dire che c’è
fragore di battaglia. Cercherò di essere al tuo pari. Non risponderò
alla tua domanda, Mastro Borlas, finché tu non mi avrai risposto:
sei tra quelli che hanno udito la chiamata, o no?”
“Come
puoi pensarlo?” gridò Borlas.
“E
tu come puoi pensarlo? chiese Saelon.
“Quanto
a me,” disse Borlas, “tutte le mie parole non ti hanno già
risposto?”
“E
tu invece,” aggiunse Saelon, “nutri dubbi su di me solo perché
ho difeso un ragazzino che tirava per gioco le mele ai suoi compagni
dall’accusa di essere un Orco? O perché ho parlato delle
sofferenze degli alberi provocate dagli uomini? Mastro Borlas, è
poco saggio giudicare il cuore di un uomo sulla base delle parole
pronunciate su un argomento che non condivide, solo perché queste
parole lo disturbano.
Forse
sono impertinenti, ma sono sempre meglio di un’eco ossequiosa.
Non
dubito che coloro con cui parli usano parole solenni quanto le tue, e
in tua presenza parlano con riverenza del Grande Tema e di cose
simili. Dunque, chi risponde per primo?”
“Il
più giovane, che dovrebbe usare cortesia verso il vecchio,” disse
Borlas, “o colui a cui la domanda è stata posta per primo. In
entrambi i casi sei tu a dover rispondere.”
Saelon
sorrise. “Molto bene,” disse. “vediamo: la prima domanda che mi
hai rivolto è stata: che cos’è la chiamata, cosa hanno intenzione
di fare? Con la tua età e tutta la tua esperienza non riesci proprio
a trovare una risposta? Io sono giovane e ho meno esperienza di te,
tuttavia, se lo desideri veramente, forse posso chiarirti il
significato delle voci.”
Si
alzò in piedi. Il sole era tramontato oltre i monti, e si faceva
buio.
Le
mura occidentali della casa di Borlas, sul lato della collina, erano
indorate dal crepuscolo, ma sul fondo il fiume era scuro. Guardò in
alto, poi voltò lo sguardo verso l’Anduin. “È una bella
serata,” disse, “ma il vento si muove a est. Stanotte la luna
sarà coperta da nubi.”
“Bene,
e con ciò?” disse Borlas, rabbrividendo un po’ per l’aria
fredda. “Forse vuoi dire che un vecchio dovrebbe affrettarsi a
rincasare per mantenere le sue ossa all’asciutto?” Si alzò e si
diresse verso il sentiero che conduceva alla sua casa, pensando che
il giovane non avesse più nulla da dirgli, ma Saelon si pose davanti
a lui, trattenendolo per un braccio.
“Voglio
dire invece che dovrai indossare abiti pesanti dopo il crepuscolo,”
disse. “Se vuoi saperne di più, se lo vuoi davvero, dovrai
metterti in viaggio con me, stanotte. Ti aspetterò all’entrata
orientale della tua casa, sul retro, o almeno passerò da quel lato
quando sarà notte fonda, sarai tu a decidere se venire o meno.
Indosserò un abito nero, e chiunque verrà con me dovrà essere
vestito così. Ora addio, Mastro Borlas!
Pensaci,
finché dura la luce del giorno.”
Con
ciò Saelon s’inchinò e si allontanò, per un altro sentiero che
costeggiava la ripida sponda del fiume, andando a nord, verso la casa
di suo padre. Quando scomparve al di là di una curva, le sue parole
ancora echeggiavano nella mente di Borlas.
Dopo
che Saelon si fu allontanato, per qualche attimo Borlas rimase in
silenzio, con le mani sul volto, appoggiando la fronte sulla fredda
corteccia di un albero lungo il sentiero. Cercava di richiamare alla
mente come era iniziata quella strana e allarmante discussione. Non
sapeva ancora cosa avrebbe fatto dopo il crepuscolo.
Dall’inizio
della primavera non si sentiva bene, benché fosse piuttosto in forma
per la sua età, che gli pesava meno della sua solitudine. Da quando
ad aprile suo figlio Berelach era partito di nuovo - lavorava sulle
Navi, e ora viveva nei pressi di Pelargir - Saelon era divenuto più
premuroso, quando era a casa. Di recente, era spesso in viaggio.
Borlas non era al corrente dei suoi affari, sapeva solo che si
occupava, tra l’altro, di legname. Portava notizie del regno al
vecchio amico, o meglio, al padre del vecchio amico, poiché un tempo
Berelach era stato il suo compagno più fedele, sebbene ora si
incontrassero di rado.
“Certo,
è andata così”, si disse Borlas. “Ho parlato a Saelon di
Pelargir, riferendomi a Berelach. C’è stato qualche piccolo
incidente all’Ethir: alcuni marinai sono scomparsi, e anche un
piccolo vascello della Flotta. Niente di più, secondo Berelach.
“ ‘La
pace indebolisce gli animi, ’ mi sembra che disse, in veste di
sottufficiale. ‘Hanno usato qualche stratagemma per disertare, così
sembra - forse delle conoscenze in uno dei porti occidentali - ma
senza una guida sono annegati. Gli sta bene. In questi tempi ci sono
sempre meno veri marinai, la pesca è più redditizia. Ma almeno
tutti sapranno che le coste occidentali non sono sicure per chi non
ha esperienza. ’ ”
“Fu
tutto qui. Ma ne ho parlato a Saelon, e gli ho chiesto se a sud
avesse udito qualcosa su quest’episodio. ‘Sì, ’ mi ha
risposto, ‘pochi hanno creduto alla versione ufficiale. Quegli
uomini non erano inesperti, erano figli di pescatori. E in quel
periodo non vi erano state particolari tempeste lungo la costa. ’ ”
Nell’udire
ciò, Borlas improvvisamente rammentò altre voci, che gli erano
state riferite da Othrondir. Era lui che aveva usato per primo la
parola “cancrena”. Questo pensava Borlas quando aveva cominciato
a parlare tra sé, ad alta voce, dell’Albero Oscuro.
Borlas
scoprì gli occhi e accarezzò il tronco armonioso dell’albero al
quale si era appoggiato, guardando il cielo sempre più scuro
attraverso le sue foglie ombrose. Una stella brillava al di là dei
rami. Continuò a parlare, sottovoce, come se si rivolgesse
all’albero.
“Dunque,
come mi devo comportare adesso? È chiaro che Saelon è coinvolto in
questa storia. O non lo è? C’era lo scherno nelle sue parole, e il
disprezzo per le regole di vita degli Uomini. Non ha voluto dirmi
neanche il motivo degli abiti neri! Tuttavia, perché invitarmi ad
andare con lui? Non certo per convertire il vecchio Borlas! Inutile.
Inutile provarci: nessuno spererebbe di averla vinta su un vecchio
che ancora ricorda il Male, per quanto distante. Inutile anche se si
riuscisse a convincerlo: il vecchio Borlas non serve a nulla. Saelon
potrebbe aver voluto giocare alla spia, cercando di scoprire qualcosa
in più sulle voci che circolano. L’abito nero potrebbe essere un
travestimento o servire a muoversi furtivamente nella notte. Ma,
tuttavia, di che aiuto potrei essere io in un incarico segreto e
pericoloso? Sarei più utile fuori dai piedi.”
Un
gelido pensiero attraversò il cuore di Borlas. Fuori dai piedi - era
dunque ciò che volevano? Lo avrebbero condotto in qualche luogo dove
sarebbe scomparso, come i Marinai? L’invito di Saelon era giunto
nel momento in cui gli aveva rivelato di essere a conoscenza delle
voci, e persino di aver udito il nome. E gli aveva dichiarato
apertamente la sua ostilità.
Questo
pensiero spinse Borlas a decidersi: al calar della notte avrebbe
atteso Saelon al cancello, vestito di nero. Era stato sfidato, e non
voleva tirarsi indietro. Appoggiò con forza il palmo della mano
sull’albero. “Non sono ancora un vecchio rimbambito, Neldor,”
disse, “ma la morte non è tanto distante per sprecare molti anni
preziosi, perdendo le occasioni concesse.”
Raddrizzò
la schiena e alzò la testa, incamminandosi lungo il sentiero,
lentamente, ma con passo deciso. Quando varcò la soglia di casa, un
pensiero gli balenò nella mente: “Forse ho vissuto così a lungo
per questo scopo: che ci fosse ancora qualcuno che ricordasse
lucidamente ciò che è accaduto prima della Grande Pace. Il naso ha
una lunga memoria, penso di potermi ricordare ancora l’odore
dell’antico Male, e di riconoscerlo per ciò che è.”
La
porta sotto il portico era aperta, e in casa si faceva buio. Non si
udivano i soliti suoni della sera, solo un piatto silenzio, un
silenzio di morte. Entrò in casa, sussultando. Chiamò, ma non vi fu
alcuna risposta.
Si
fermò nello stretto corridoio che attraversava la casa, e gli
apparve immerso nell’oscurità; dall’esterno non proveniva
neanche un barlume di luce. D’un tratto lo fiutò, o così gli
sembrò, benché fosse più una sensazione interna che esterna: fiutò
l’antico Male e lo riconobbe per ciò che era.
LETTERA
DELL'AUTORE
Da
una lettera di Tolkien del 13 marzo 1964
Ho
iniziato una storia che si svolge circa cento anni dopo la Caduta (di
Mordor), ma si è rivelata sinistra e deprimente. Dato che abbiamo a
che fare con uomini è inevitabile che si debba prendere in
considerazione una delle caratteristiche più deprecabili della loro
natura: il fatto che presto si stancano del bene. E così la gente di
Gondor in epoche di pace, giustizia e prosperità è diventata
scontenta e inquieta - mentre la dinastia discesa da Aragorn ha
prodotto re e governatori - come Denethor, se non peggio.
Ho
scoperto che anche in epoche così antiche ci fu un fiorire di trame
rivoluzionarie, incentrate su una religione satanica segreta; mentre
i ragazzi di Gondor giocavano a travestirsi da orchi e andavano in
giro a fare danni. Avrei potuto ricavarne un thriller con il
complotto e la sua scoperta e la sua sconfitta - ma non ci sarebbe
stato altro. Non ne valeva la pena.
Era
passato quasi un secolo da quando Sauron,il Negromante, fu sconfitto
definitivamente. Come i Saggi sapevano, l'Oscuro Signore non mori.
Egli, tuttora, vaga per la Terra di Mezzo, cercando di corrompere il
Bene. Con gli Elfi quasi scomparsi, tutti partiti per le Terre
Immortali, rimanevano nella Terra di Mezzo solamente Uomini, Nani e
Hobbit, senza contare le creature di Sauron. Quest'ultime si vocifera
che si stiano moltipilicando a Mordor, in silenzio. Benchè ci
fossero ancora i Nani e gli Hobbit, gli Uomini dominavo sul
continente. Gli Hobbit, benchè avessero salvato il destino della
Terra di Mezzo, erano invisibili, mentre i Nani erano sottoterra o
nell'interno delle montagne, dove furono creati tempo fa dal figlio
Eru. I Nani aveva riconquistato le Miniere di Moria, ricostruendo la
città di Nanosterro. La stirpe di Durin, però, regnava a Erebor. Il
re di Erebor al tempo di questa storia , era Thorin III, l'
Elminpietra. Il regno di Erebor era tornato fiorente, come prima
dell'arrivo di Smaug. Ai piedi della Montagna Solitaria, era stato
istaurato il Regno sul Lago Lungo, formato da Dale, la capitale, ed
Esgaroth. Qua regnava Bard II, bisnipote di quel Bard che uccise il
Drago Smaug e figlio di quel Brand che mori combattendo insieme a Re
Dain II (padre di Thorin III) durante la Guerra dell'Anello. Intanto,
a Gondor, si stava diffondendo una nuova religione, la Religione
Mairon (Sauron). Questa religione venerava Sauron e le sue opere e
diffondevano la loro parola con violenze e razzie.
PROLOGO
Era
passata mezzanotte, Saelon era sulla cinta delle mura di Minas Tirith
insieme a un gruppo di arcieri, quando una decina di cavalieri neri
arrivarono al cancello.
''Chi
va là?'' chiese Loldir, un arciere
''
E' arrivato Mairon'' rispose aspramente un cavaliere nero
''Aprite
il cancello'' disse Saelon sorridendo ''Sono amici''
I
Cavalieri neri sfrecciarono silenziosamente nella cittadella senza
che nessuno aggiungesse altro.
''Mairon
non è chi penso io?'' chiese Loldir
''Dipende..a
chi pensi tu?'' disse Thangail
''
Penso alla torre oscura e all'occhio in cima ad essa'' rispode Loldir
''
La Torre Oscura è caduta da un secolo'' ribattè Thangail
''
Ma Sauron? Mithrandir ha detto che non è morto definitivamente''
''
Loldir hai vissuto cosi tanto da aver veduto Mithrandir? Avrai si o
no ventanni...''
''
Me lo raccontò il Sovrintendente Faramir quando ero
bambino...comunque hai sentito di Borlas?''
''
Cosa?''
''Ha
detto di aver visto Sauron in casa sua!''
''
E' un folle'' disse Thangail ''Sauron? In casa sua? Bazzeccole! Come
può dire di aver visto Sauron?
''
Dice di aver visto un ombra dalle sembianze umane''
Thangail
e Loldir guardarono verso Mordor e rabbrividirono.
''Se
fosse vero, gli Elfi e Mithrandir ci hanno lasciati soli a combattere
questa nuova ombra''
''
Qualche Elfo è rimasto. Se non erro, Re Thranduil del Reame Boscoso
è rimasto. Poi, una volta, Sire Eldarion mi disse che suo padre, Re
Elessar, gli raccontò che uno stregone è rimasto perchè falli
nella sua missione da Istaro. Mi sembra che abiti in esilio al
limitare di Bosco Atro, in un posto chiamato Rhosgobel. Potremmo
chiedergli aiuto?''
''Chiedergli
aiuto? Ancora non sappiamo se ciò che dici è vero!''
Nel
preciso momento in cui Thangail parlò, un boato proveni da dietro di
loro. Essi si voltarono e videro l'Albero Bianco andare a fuoco.
Nell'aria si sentirono queste parole:
ASH
NAZG DURBATULUK,
ASH
NAZG GIMBATUL,
ASH
NAZG THRAKATULUK,
AGH
BURZUM ISHI KRIMPATUL
Scese
il popolo in strada ed iniziò ad applaudire. I pochi oppositori
vennero giustiziati dal popolo o dai Cavalieri, i quali si rivelarono
Numenoreani Neri. Il capo dei Cavalieri era la Bocca di Sauron, il
luogotenente del Cancello Nero durante la Guerra dell'Anello. Egli
era stato ritenuto morto nella battaglia ai piedi del Morannon, come
precisò in seguito Loldir. Con il sangue degli oppositori, il popolo
disegnò sui muri della cittadella l'Occhio di Sauron. Thangail e
Loldir si diedero alla fuga. Preserò un cavallo a testa e uscirono
dal cancello, galloppando il più lontano possibile.Passarono una
settimana galoppando alla ricerca di un posto dove alloggiare.
All'ottavo giorno, essi arrivarono ad Edoras, a Rohan. Alle porte di
Edoras, trovarono il Sovrintendente Elboron, figlio di Faramir, e Re
Eldarion, figlio di Aragorn.
''Nostro
Re e nostro Sovrintendente, cosa è successo sette notti fa?'' chiese
Thangail
''
Speravamo che ce lo diceste voi'' rispose Elboron
''
Secondo me è un complotto dei Dunedain Neri'' disse il Re
''
I Dunedain Neri?'' chiesero i soldati
''
I Dunedain che aderiscono al veneramento di Sauron e di Morgoth''
rispose Eldarion
''
Affrettiamoci ad entrare prima che cali il sole''
Nel
palazzo d'oro, i quattro compagni di sventure raccontarono l'incendio
dell'albero bianco al re di Rohan, Elfwine, figlio di Eomer, il quale
non seppe dare un significativo aiuto al Re e ai suoi compagni. I
quattro alloggiarono due settimane a Edoras per poi ripartire.
''Dove
andiamo ora?'' chiese Loldir
''
Io dico di andare ad est,dagli Elfi di Bosco Atro'' disse Thangail
''
Dubito che Thranduil ci dia una mano'' rispose Elboron
''
Cosa abbiamo da perdere?'' disse Eldarion
RE
THRANDUIL
Ci
misero uno o due mesi ad arrivare davanti alle porte del Reame
Boscoso, l'ultimo regno degli Elfi rimasto sulla Terra Di Mezzo.
Stranamente, Thranduil li accudi senza indugio, per non ripetere gli
errori fatti diversi secoli prima.
''Sauron?''
domandò dopo essersi fatto raccontare la loro storia
''
Non direttamente'' rispose Thangail '' Come sanno i Saggi, lui non
potrà più nuocere finchè Morgoth non verrà liberato dalla sua
prigione e finchè non arriverà l'Ultima Battaglia e la Fine di
Arda''
''
Tale è la natura del male'' disse Thranduil alzandosi dal trono ''
col tempo tutte le cose orrende vengono fuori, col tempo, spunteranno
proprio dove sono state sepolte. La
Terra di Mezzo è corrotta. Forti sono le Radici del Male. Sono alle
fondamenta della Terra di Mezzo, e se le fondamenta sono corrose,
dopo un po, crolla tutto. Nella Terra di Mezzo, c'è sempre stato un
delicato equilibrio, mantenuto dagli Elfi e dagli Istari per tre ere.
E ora che questi se ne sono andati, l'equilibrio si è spezzato. Per
quanto questo possa sembrare il Destino, in verità si tratta di un
piano a lungo premeditato da Sauron e da Morgoth.''
''Cosa
intendi dire?'' chiese Eldarion
''Intendo
dire che i Due Oscuri Signori avevano predetto come sarebbero andate
le cose. Dopo la Guerra dell'Ira, conclusa con la sconfitta di
Morgoth e lo sprofondamento di una parte della Terra di Mezzo
nell'Oceano, Sauron prese il posto di Morgoth per rinforzate le
radici corrotte che quest'ultimo instaurò. Sauron ha cercato per
millenni di prendere il potere, ma quando l'Anello fu distutto e
Sauron venne sconfitto, ormai era troppo tardi. Infatti, il loro male
ormai si era diffuso per il Mondo, un Mondo ormai privo di Elfi.
Sauron ha approfittato della debolezza degli Uomini per
corrompere in modo irreparabile la Terra di Mezzo. Sauron magari non
sarà in grado di nuocere personalmente, ma sarà in grado di farlo
fare ad altri per conto suo, come difatti ha fatto.Ormai si può
soltanto aspettare che la Fine arrivi, e che i Due Oscuri Signori
tornino e distruggano Arda. Partirò per le Terre Immortali, e io
attenderò li, con i miei padri.''
''E
cosi che devono andare le cose? Non c'è altro da fare? Voi Elfi ci
avete abbondonato a combattere questo male sapendo che ci avrebbe
sopraffatto!'' rispose
Elboron furioso '' Voi Elfi ci avete lasciato soccombere''
''
Elboron, figlio di Faramir ed Eowyn, non essere furioso. Questa è la
volontà di Eru. Posso accogliore te sulle Navi Grigie, Sire
Eldarion, in quanto Mezzelfo''
''Ringrazio
la tua offerta, Re Thranduil, ma devo rifiutare. Non posso lasciare
la mia gente qua a morire, quando io, il loro Re, sono tranquillo
nelle Terre Immortali. Se mai dovrò andarci, ci andrò per chiedere
aiuto ai Valar per salvare questa bella terra dal Male e fare ritorno
qua, se non perirò nell'impresa!'' rispose Eldarion con le lacrime
negli occhi
''
Sei l'uomo più puro d'animo che abbia mai conosciuto, assomigli
molto
a
tuo
padre Sire Aragorn, è un peccato che questo debba accadere nei tuoi
giorni. Benedico te e la tua impresa, e naturalmente voi''
rivolgendosi a Thangail, Loldir e Elboron ''se tu Sire Eldarion
partirai per questa impresa, dovrai essere accompagnato da uomini
d'onore, come voi tre'. Ora vi chiedo di andarvene gentilmente, tra
poco partirò e non posso più darvi protezione. Addio!''
L'ULTIMO
DEGLI ISTARI
Il
giorno dopo se ne andarono, con acqua e provviste. Essi, decisi a
partire per Aman per salvare la Terra di Mezzo, ma dovevano
rivolgersi a qualcuno che ci era già stato per indicare loro la
navigazione. Chi poteva andare meglio di Radagast il Bruno, ultimo
degli Istari, a cui era stato negato il ritorno con onore a Valinor?
Egli
si trovava ai confini occidentali di Bosco Atro, in un luogo chiamato
Rhosgobel. Ci misero un po' a trovare questo posto, e prima chiesero
ai Beorniani e Re Thranduil. Era una casa contruita sopra quattro o
cinque alberi, con una scala a chiocciola in legno che portava sopra.
Bussarono ed ad aprire loro la porta c'era un uomo anziano vestito di
con un abito marrone chiaro quasi ocra. '' A che devo l'onore della
visita? E'
da tanto che non ne ho avuta una. A dir il vero quasi un secolo''
disse lo stregone
''
Il mio nome è Eldarion, re di Gondor. E io e i miei amici siamo qua
per chiederti aiuto.'' rispose Eldarion
Gli
raccontarono tutta la storia per filo e per segno, dal racconto di
Borlas, all'incontro con Thranduil. '' Credi di poterci indicare la
via per Valinor?'' chiese infine Elboron
''
Si, cioè no,no. Non posso accompagnarvi, non sarei il benvenuto.''
''Lo
sarai se ci accompagni. C'è in gioco il destino di Arda! Potrai
essere perdonato dai Valar, potrai rimanere là per sempre, potrai
rivedere Gandalf!''
L'idea
di essere riammesso con onore a Valinor, gli fece subito cambiare
idea.
''
Va bene, va bene. Se vogliamo andare dobbiamo metterci subito in
viaggio per i Porti Grigi.''
6
Mesi dopo
Non
avrebbero mai dato loro una barca, quindi non restava altro che
rubarla. Aspettarono che calasse il Sole, poi attesero altre due ore
cosi che le sentinelle calassero la guardia. ''Shh. Prendete i remi e
iniziamo a muoverci'' disse Radagast quando misero piede
sull'imbarcazione. Quando arrivò l'alba erano appena usciti dalla
baia di Lindon. Ci misero altre tre settimane ad arrivare a Valinor.
Per quanto la mente di Radagast fosse decrepita, riusciva a
ricordarsi vagamente l'itinerario. Quando arrivarono erano quasi
morti, non mangiavano da una settimana ed erano stanchi, dopo quasi
un mese di navigazione. Videro
una luce in lontananza e svennero tutti, tranne Radagast.
''Che
giorno è e dove sono?'' disse Eldarion quando si svegliò
''
E' il 28 giugno dell'anno 106 della Quarta Era'' rispose una voce
vagamente conosciuta
''Gandalf!!!''
gridò Eldarion quando apri gli occhi
Pubblicherò la seconda parte entro qualche di settimana.